Greenpeace incalza l’UE: la zootecnia intensiva è una realtà insostenibile

La riduzione delle attività intensive significa promuovere un progetto di efficientamento a lungo termine. Come si sviluppa la proposta

grano cereali
Grano (Foto Igor Karimov on Unsplash)

È certamente una questione mondiale, ma in considerazione dei recenti eventi e dell’attenzione rivolta in questi ultimi anni, il settore agroalimentare sta assumendo le vesti, nel quadro europeo, non solo di un settore seriamente strategico come mai lo è stato prima, ma anche un fattore cogente introdotto sui tavoli della diplomazia tra gli Stati.

Che l’orizzonte alimentare potesse “realmente” condizionare – si direbbe in termini utopistici – la pace dei popoli, lo osserviamo con un’emergenza climatica incalzante e con le crisi geopolitiche che nel brevissimo susseguirsi degli eventi, imprevedibilmente, hanno fatto saltare un processo ritenuto immutabile: la globalizzazione.

L’esito a cui conducono i conflitti “spartiacque” tra le vecchie logiche di scambio e le auspicabili prospettive di un pensiero più inclusivo, richiama una nuova lucidità che accompagni e favorisca il cambio di paradigma. Oggi, assistiamo a contrasti su scala mondiale, sebbene monitorati secondo dalle tecnologie più all’avanguardia, i quali sono l’immagine discriminatoria di un arcaico istinto umano a procacciare le risorse quando scarseggiano; ma – è sempre più evidente – anche quando sono maldistribuite.

Non in modo così graduale, ma secondo una consapevolezza maturata per tappe traumatiche, si sta dipanando in Europa una realtà oggettiva allarmante: la scarsissima autosufficienza della produzione di frumento. Se poi immaginiamo le diversificate e molteplici sottocategorie di prodotti derivanti dalla lavorazione dei cereali che hanno arricchito il mercato, allora possiamo parlare di una dipendenza endemica dall’export, cui urgono misure correttive immediate.

A seguito del piano della Commissione Europea presentato nei giorni scorsi per agire sull’attuale crisi agroalimentare, con il suo comunicato, Greenpeace ha risposto con una sua controproposta di misure volte alla riduzione dell’8% dell’uso di cereali destinati ad alimentare gli allevamenti dell’Unione Europea. In altri termini, si tratta di diminuire l’incisività dell’ “oro” derivante dal grano all’interno della zootecnia intensiva.

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Verrebbe incentivata così un’ottica di risparmio delle risorse agricole, che significa seguire ulteriormente una politica di efficientamento che ostacoli lo stress delle aree agricole e, nello stesso tempo, affronti concretamente la necessità di circoscrivere l’importazione massiccia delle risorse di base fuori dai confini comunitari.

In particolare, Greenpeace chiede all’Unione Europea di ridimensionare l’importazione di materie prime destinate alla mangimistica e delle forniture di fertilizzanti sintetici, indispensabili a coltivare i mangimi che verranno a loro volta impiegati nella produzione intensiva di carne. Liberando queste “quote” dalla logica intensiva sul nutrimento degli animali, si va a compensare la dipendenza dell’UE – oggi degenerata – dai fertilizzanti sintetici e dalla conseguente spesa per approvvigionarsene, sempre più alta e impattante sull’ambiente.

Il pacchetto di misure proposto da Greenpeace è volto anche ad ammorbidire il peso della carenza di grano sulle fasce di popolazione più vulnerabili mediante un modello sostenibile che sostituisca una realtà attuale insostenibile. Un atteggiamento, questo, in forte contrasto con l’allentamento delle misure di protezione ambientale operato dalla Commissione Europea, ponendo pertanto uno stop alla strategia agricola comune “Farm to fork” su pressione delle lobby dell’agroindustria e di alcuni rappresentanti della politica nazionale.

La sola riduzione dell’8% delle totali 162,5 milioni di tonnellate di cereali, di tutti i tipi, utilizzati per nutrire gli animali, consentirebbe di rilasciare equamente nuove energie di risorse, tradotte in 13 milioni di tonnellate di frumento disponibili al consumo umano, che insieme a una generalizzata riduzione di carne e latticini e “a incentivi per le produzioni ecologiche” – a detta di Federica Ferrario, campagna agricoltura di Greenpeace Italia – “renderebbero l’agricoltura europea più resistente agli shock”.

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