Biocarburanti e crisi alimentare un legame insospettabile. Le responsabilità europee

La stretta relazione tra biocarburanti da colture alimentari e crisi alimentare non è casuale, ma risponde a precisi interessi

Biocarburanti mais
Biocarburanti (Foto Pixabay)

Si può cominciare dai numeri per avere idea dell’enorme giro d’affari che ruota intorno alla produzione di generi alimentari destinati alla produzione di biocombustili e biocarburanti. L’Europa destina il 50 per cento dell’olio di palma e il 32 per cento di quello di soia consumati alla produzione di biocarbuaranti per camion e automobili. Cifre simili per l’olio di semi di colza e per quello di girasole, rispettivamente al 58 e al 9 per cento, utilizzati per i motori degli autoveicoli.

Ogni giorno 19 milioni di bottiglie di olio di girasole e di colza e 14 milioni di bottiglie di olio di palma e di soia sono consumate nei motori europei. Oltre 10 mila tonnellate di grano sono bruciate ogni giorno in Europa per automobili alimentate a biocarburanti. Le conseguenze per paesi importatori di cereali che dipendono del tutto dall’estero sono impressionanti.

A metà aprile il default dello Sri Lanka – che ha scelto di sfamare la sua popolazione piuttosto che ripagare il debito estero. Libano, Giordania e Tajikistan versano in condizioni difficili con oltre il 10 per cento del loro PIL per acquistare energia e materie prime alimentari dall’estero.

Tutta l’Africa sub-sahariana, ma anche paesi come l’Egitto o la Tunisia, hanno visto aumentare i prezzi alimentari e devono ora affrontare una nuova ondata di povertà e insicurezza alimentare con oltre il 60 per cento dell’intera popolazione a rischio fame. Per paesi come Benin, Ethiopia e Malawi, le risorse per proteggere le fasce di popolazione più vulnerabili sono terminate e la crisi alimentare sta diventando drammatica.

Il conflitto in Ucraina ha di fatto peggiorato la situazione, con il blocco delle esportazioni di grano, di girasole, di colza, ma le pressioni del mercato sui prezzi dei prodotti agroalimentari sono in qualche misura indipendenti dal confitto. Il forte aumento dei prezzi delle materie prime e le spinte speculative su tutto il comparto alimentare risalgono almeno alla metà del 2020, ben prima del conflitto.

Anche in Italia usiamo circa un milione di tonnellate di olio di palma – ricorda Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – “Metà miscelato nel gasolio dei motori diesel (i più inquinanti in circolazione) e l’altra metà per produrre “elettricità verde”. In entrambi i casi si tratta di “greenwashing”, come ha confermato la causa vinta da Legambiente, T&E e consumatori (MDC) contro il “biodiesel” di Eni del gennaio 2019. Cereali e semi oleosi sono alimenti per il miliardo di esseri umani più poveri, non fonte energetica per lavare la coscienza dei governi statunitensi ed europei. L’Italia e l’Europa debbono togliere subito gli incentivi ai biocarburanti, falsi rinnovabili.

A fine giugno in occasione del G7 si è discusso di sicurezza alimentare globale, in relazione al confitto in Ucraina, ma ponendo in discussione la crescente speculazione al rialzo sulle produzioni delle grandi colture, dette anche soft commodities (produzioni da cereali, da oli, da proteine, da radice, da tubero e da fibra, le principali colture coloniali quali il the, il caffè e il cacao).

Le posizioni tra i vari Paesi sono rimaste distanti. I governi di Germania e Regno Unito hanno annunciato l’intenzione di contenere la produzione e consumo di biocarburanti da coltura, proponendo limitazioni sui biocombustibili in competizione con le produzioni alimentari.

Di ben altro avviso gli Stati Uniti che hanno proposto l’aumento dell’estrazioni di carburanti da vegetali aimentari. Washington si è dimostrata così molto più sensibile alle questioni politiche, il contenimento della Russia sul fronte energetico, e alle pressioni delle grandi lobbies multinazionali dell’agroalimentare che puntano a un rialzo dei prezzi, che alla crisi alimentare globale.

La guerra non può essere una motivazione per scegliere i biocarburanti come alternativa al petrolio. Il loro costo è pari a quasi due volte quello dei combustibili fossili, come ricorda Carlo Tritto, policy officer di Transport & Environment Italia, network di tutte le associazioni ambientaliste europee, inquinano ed esasperano la crisi alimentare nel pianeta. I biocarburanti restano, nonostante il conflitto in Europa, in netta e insanabile contraddizione con una produzione agricola responsabile dell’ambiente e che consenta di sfamare l’intera popolazione mondiale.

Impostazioni privacy