Il mercato dei dati personali è entrato nelle scuole con la didattica a distanza

Altreconomia mostra come le multinazionali della rete hanno messo mano ai dati sensibili dei milioni di studenti in lockdown. I dettagli

Il mercato dei dati personali è entrato nelle scuole con la didattica a distanza
Didattica a distanza (Foto Unsplash)

Il 4 marzo 2020 prendeva avvio ufficialmente la didattica a distanza (Dad) in Italia. Circa otto milioni di persone, tra studenti e professori delle scuole pubbliche, abbandonava le aule e raggiungeva la quasi totalità della popolazione italiana chiusa in casa nella lunga condizione di lockdown, durante la propagazione del virus Covid-19. All’inizio, le soluzioni tecnologiche scelte dagli istituti erano le più disparate, per via del regime di autonomia scolastica; successivamente, il Ministero dell’Istruzione lanciò una call pubblica (era il 28 febbraio 2020) per creare un’unica piattaforma per la didattica.

A marzo, l’elenco ministeriale di risorse consigliate per la Dad era pronto; soltanto tre le piattaforme raccomandate: G-Suite for Education di Google, Office 365 Education di Microsoft e Weschool di Tim. Non di certo strumenti ad hoc, ma strumenti squisitamente commerciali. Allora, per molte scuole la scelta è ricaduta sulla più “pratica” suite di Google. È da qui che inizia l’inchiesta di Altreconomia, che dipinge il quadro del grande salto compiuto dalle piattaforme delle big tech nell’immensa fonte dei dati di accesso relativi ad allievi e docenti.

L’attuale ministro Patrizio Bianchi ha poi promosso, nell’agosto 2020, il passaggio dalla Dad della fase emergenziale alla didattica digitale integrata (Ddi). Contattando il Miur e 18 Uffici scolastici regionali (Usr), Altreconomia ha scoperto che tra i 7.700 istituti pubblici che hanno risposto sugli oltre 8.000 interrogati, l’86,3% ha scelto Google Suite for Education, seguita Microsoft (18%), Weschool (6,2%); nonché “altro” (14,7%), rappresentato dai sistemi di videocall come Whatsapp, Skype e Zoom.

Perdura la soluzione di carattere commerciale (con i rischi sociali di cui spesso i cittadini sono poco consapevoli) a svantaggio delle licenze open source (Jitsi, Moodle). Dal punto di vista politico e sociale, la scelta che ha decretato lo strapotere di Google e Microsoft, con i loro strumenti nati per le aziendali, non per le scuole, è stata una scelta miope e al tempo stesso inconsapevole: dietro questi software si celano infatti algoritmi di sorveglianza di massa che organizzano i dati personali in business model, quindi, in vista di profitti.

Si apre dunque la questione della tutela della privacy dei ragazzi, ma anche dei professori. Come rivela Giulia Schneider, docente di Diritto dell’economia all’Università Cattolica di Milano e coautrice di uno studio europeo che ha esaminato privacy policy e condizioni di servizio delle piattaforme nel primo anno della pandemia: “Su queste piattaforme girano dati di natura molto sensibile: non solo sull’uso dei software e su tempi, modi e risultati dello studio, ma anche sulle opinioni personali, religiose, o sullo status socio-economico di chi le usa”. 

Google potrebbe quindi sfruttare i dati raccolti di profilazione per scopi pubblicitari o di marketing. Inoltre, impadronendosi della didattica digitale, la multinazionale statunitense potrebbe progressivamente imporre i suoi codici tecnologici nei paradigmi della didattica, inclusa la scelta dei contenuti da diffondere. Insomma, il rischio di un condizionamento culturale è alto.

Pur ipotizzando un controllo istituzionale sulle corporation, effettuato accedendo ai loro server, non è possibile se i dati acquisiti siano stati copiati e manipolati perché la copia delle informazioni non lascia tracce. Ma è chiaro che l’obiettivo commerciale è la fidelizzazione: ne sono la prova le versioni premium, come Google Workspace for Education, che un giorno potrebbero tramutarsi in servizi a pagamento.

I soggetti più esposti al perpetuare della violazione della privacy sono i minorenni, meno consapevoli alle condizioni di taluni servizi di accesso. Eppure un’inversione di rotta si sta verificando in Europa dove i sistemi open source stanno prendendo piede in Spagna, Francia e Germania; ancora una scelta rara in Italia, ma si sta facendo gradualmente strada.

Con la collaborazione tra Politecnico di Torino ed Enti pubblici, si sta dando vita ad un sistema Dad efficiente e su larga scala, grazie alla rete a banda ultralarga. Ma ciò che ci si auspica è la formazione di una coscienza politica su questi temi, la quale possa generare una ricerca strategica, come quella di una rete unica di interconnessione delle scuole italiane tramite server in cloud.

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