Terreni agricoli, una rimappatura mondiale per invertire le emissioni

In elaborazione un piano di ripristino degli habitat naturali quale arma per riportare le emissioni CO2 a 20 anni fa. Cosa prevede

Agricoltura (Foto: Quang Nguyen Pexels)

Gli attuali sconvolgimenti climatici, come stanno dimostrando, non finiscono mai di mettere alla prova la costernazione di un’umanità dove il peso del danno ambientale è pagato in misura diversa a seconda della collocazione delle popolazione. Forse questo è anche l’elemento che ha diversificato, in termini degenerativi, la responsabilizzazione di intere nazioni nei confronti del rispetto degli stessi territori che ricoprono.

Non possiamo attendere ora come ora delle soluzioni radicali in quanto ci troviamo davvero – in maniera preoccupante – ancora nella fase iniziale di un lavoro di rigenerazione: se la politica internazionale non trova la quadra tra gli interessi produttivi con la sopravvivenza della specie umana, la scienza, pur tuttavia rispondendo con ritardo agli allarmi lanciati sin dagli anni Settanta, lavora in via sperimentale a risposte progressive, sostenibili ad un’applicazione immediata.

Una di queste risposte è contenuta nello studio “Relocating croplands could drastically reduce the environmental impacts of global food production”, pubblicato su Nature Communications Earth & Environment ad opera di un team di ricercatori di Cambridge, Pechino e Harvard.

In esso viene proposto la riorganizzazione dell’agricoltura quale strumento per ridisegnare la mappa mondiale, dove sono coinvolte grandi aree agricole sino ad ora sconosciute alla produzione di importanti colture riconducibili alla cintura di mais negli Usa centro-occidentali e al di sotto del deserto del Sahara; mentre per Europa e in India, l’ipotesi è quella di ripristinare gli habitat naturali entro vaste aree di terreno agricolo.

Con quest’azione di “ripristino”, a detta degli scienziati, “i terreni coltivati ​​torneranno rapidamente al loro stato naturale, spesso recuperando i loro stock di carbonio originali e la biodiversità nel giro di pochi decenni”. Partendo da un quadro iniziale caratterizzato dall’impiego di un’agricoltura meccanizzata ad alto input, la riprogettazione porterebbe l’impatto del carbonio delle terre coltivate globali a una riduzione del 71%.

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Tale abbassamento spinge favorevolmente la terra a tornare al suo stato naturale e forestale; una condizione iniziale che equivale al riappropriarsi di un valore delle emissioni nette di CO2 pari a quello di vent’anni fa e, tra l’altro, sostenuto dall’azione degli alberi in grado, durante la crescita, di catturare carbonio dal suolo in quantità maggiore rispetto a quando vengono coltivati.

L’impatto della produzione agricola sulla biodiversità mondiale registrerebbe una riduzione dell’87 per cento con il conseguente abbassamento del rischio di estinzione di molte specie, oggi minacciate dall’agricoltura stessa; l’irrigazione non sarebbe più necessaria dato che le colture sono esposte in luoghi dove le precipitazioni forniscono tutta l’acqua necessaria.

Per mezzo di modelli matematici, è stato possibile esaminare le aree di coltivazione delle 25 colture principali, tutti i modi possibili per distribuire diversamente queste terre coltivate in tutto il mondo, pur mantenendo gli attuali livelli di produzione complessivi per ciascuna coltura. Se oggi è inverosimile la ricollocazione sistematica dei terreni agricoli, la ricerca dimostra che il solo trasferimento del 25% delle colture presso le aree più altamente improduttive comporterebbe il raggiungimento del 50% degli obiettivi di ottimizzazione.

Anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare la nostra parte. Alla diminuzione delle pratiche agricole intensive, alcuni studi collaterali alla ricerca evidenziano come diete più a base vegetale riducono sensibilmente l’impatto ambientale dell’agricoltura. I ricercatori evidenziano che il loro modello non prevede pratiche alimentari differenti, pertanto rimarcando l’efficacia dell’intervento esclusivamente sulla base di una produzione più ottimale; perché “in realtà le diete non stanno cambiando rapidamente”.

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