Strage di Mineo, 13 anni dopo la morte degli operai arriva la sentenza di condanna

Ma nessuno dei responsabili della morte dei 6 operai è in carcere. Probabilmente si opterà per misure alternativa alla detenzione. È stata fatta giustizia?

casco lavoro
Umit Yildirim (unsplash)

Uno dei principi caratteristici della Pubblica Amministrazione è l’economicità.

È un criterio che viene di seguito ad efficacia ed efficienza, ma non in ordine di priorità. Ormai l’economicità sembra essere diventato il motore trainante dei lavori pubblici, ed in alcuni casi, l’imputato numero delle stragi sul lavoro.

Ricordare i nomi, i volti, delle vittime decedute sul posto di lavoro è un’operazione di cronaca, che dura fintanto che la notizia fa scalpore. E poi cosa succede? Seguire le vicende giudiziarie che dovrebbero identificare i colpevoli è un’operazione giornalistica dovuta, anche se non più da prima pagina.

Qualcuno ricorderà (ed i molti no) la strage di Mineo. Nel 2008 sei operai hanno perso la vita a causa delle esalazioni che provenivano dal depuratore comunale. Quattro erano dipendenti pubblici del comune, e 2 appaltati da una ditta privata. I lavoratori erano stati assegnati alla pulitura della macchina infernale, ma sono travolti dal fango e dall’acido solfidrico.

I primi due che sono scesi nel pozzetto di ricircolo dei fanghi si sono sentiti male immediatamente, e gli altri quattro li hanno raggiunti per soccorrerli. I sei corpi senza vita sono stati trovati molte ore dopo quando, la madre di uno degli operai, si è allarmata per il ritardo del figlio.

I lavoratori non erano stati formati per il loro compito, non indossavano maschere di sicurezza, né erano collegati a cavi per il recupero in caso di malore. Non c’erano sul luogo segnaletiche che evidenziassero i rischi dell’esposizione alle sostanze tossiche generate dal depuratore. Sono morti lì, inconsapevoli del destino a cui andavano incontro.

I giornali hanno riempito la carta di volti e gridato all’ingiustizia, e le istituzioni hanno promesso risarcimenti imminenti. Ma le promesse sono durate il tempo delle dichiarazioni. Solo la Regione e la Asl locale sono intervenute, dando un posto di lavoro a due familiari delle vittime.

La giustizia ci ha messo 13 anni per arrivare alla sentenza di condanna nei confronti dei responsabili. Nel frattempo alcuni reati sono caduti in prescrizione. Ma in carcere non c’è nessuno di loro. Si sono appellati ai domiciliari o ai servizi sociali per evitare la detenzione forzata.

I risarcimenti alle famiglie sono stati difficoltosi. Finora hanno ottenuto solo il pagamento della provvisionale, una sorta di acconto di quanto è dovuto.

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Il depuratore responsabile della strage è ancora chiuso. Aveva dei problemi già prima del fatto criminoso. Ed è stato abbandonato, mantenendo su di sé la memoria dei corpi inanimati che chiedono ancora giustizia, e che la farraginosa macchina dei tribunali sembra ancora reticente a conferirgli.

A questo link l’articolo di Osservatorio Diritti del 4 novembre 2021

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