Eutanasia legale, Mario Riccio: “Il dovere morale del medico di portare a morte un paziente”

Le firme per il referendum sull’eutanasia legale sono oltre 500.000. Mario Riccio, in un’intervista al “Fatto Quotidiano”, denuncia la necessità di modificare il codice deontologico dei medici

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(pixabay)

Sono passati parecchi anni dai casi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, ed il tema dell’eutanasia legale in Italia è ancora arretrato rispetto ad altri paesi europei. Mario Riccio, il medico che ha aiutato Welby a morire, è stato processato e prosciolto per il reato di “omicidio del consenziente”. Ed oggi, con il ritorno in auge del tema eutanasia, che verrà discusso in sede parlamentare in autunno, Riccio parla ai microfoni del “Fatto Quotidiano”, sviscerando argomentazioni topiche sulla deontologia professionale dei medici.

Ed è proprio a quest’ultima che viene ricondotta l’opposizione etica alla morte medicalmente assistita. Ma Riccio esamina la questione a fondo. Il giuramento di Ippocrate, ad esempio, a cui tutti i medici sono obbligati ad aderire, non avrebbe contemplato nemmeno diritti civili legali come ad esempio l’aborto. Il codice deontologico deve mutare come muta la società. Ai tempi di Ippocrate, il medico non doveva rivelare al malato le sue reali condizioni. Ma oggi è diverso. L’obbligo etico dei medici è cambiato.

La Fondazione Luca Coscioni ha già superato le 500.000 firme per il referendum sull’eutanasia, e punta al milione. Il parere di Riccio, è che la medicina, nel bene o nel male, ha creato le condizioni perchè un malato possa rimanere in vita “a tutti i costi”, e di conseguenza, è un “dovere del medico portare a morte un paziente” perchè è “la medicina che molto spesso ha condotto i pazienti nella condizione di richiedere la morte immediata. Perché la medicina moderna, né quella di Ippocrate né quella di 20-30 anni fa, crea oggi situazioni che non creava in passato. Non esistevano perché la medicina non li creava, così come non creava delle prognosi lunghe per i pazienti tumorali”.

Continua Riccio: “Non è colpa della medicina che non è infallibile, magari lo fosse. A questo punto io ho il dovere morale, se il paziente che è in condizione di sofferenza fisica o psichica, e ha una prognosi breve, di aiutarlo. Se lui mi chiede questa alternativa di morire oggi, adesso, immediatamente, io non posso sottrarmi secondo la mia etica.”

Il disegno di legge che verrà portato in sede parlamentare enuncia una serie di condizioni per cui si potrebbe ricorrere alla morte medicalmente assistita: a) essere affetti da una patologia irreversibile o a prognosi infausta oppure portatrice di una condizione clinica irreversibile; b) essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale; c) essere assistiti dalla rete di cure palliative o che il paziente abbia espressamente rifiutato tale percorso assistenziale. La preoccupazione di Riccio è che per accedere all’eutanasia legale si debbano soddisfare tutte e tre le condizioni. A suo parere, dovrebbe bastare l’incorrere di una sola condizione per poter accedere alla morte volontaria.

Il tema della morte è la paura più atavica dell’essere umano. Ma non è promuovendo la vita a tutti i costi che si riesce ad allontanarla. Il muro dell’indifferenza che si erge per ottenere questo diritto deve essere abbattuto utilizzando il buon senso. Riconoscere la legalità dell’eutanasia non significa promuovere la morte, come riconoscere il diritto di abortire non significa incentivare l’aborto; si concede solo un’alternativa, la possibilità di scegliere.

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A questo link l’intervista su “Il Fatto Quotidiano”

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