A scuola contro le fake news, l’esempio della Finlandia

Viviamo in un mondo in cui tra le tante battaglie che, come cittadini e cittadine, occorre combattere c’è anche quella contro le fake news. Per avere un vantaggio dovremmo però forse ispirarci a quanto hanno fatto e stanno facendo le istituzioni a tutti i livelli in Finlandia

fake news
Fake news (foto Adobe)

Riuscire a riconoscere quando una notizia, data attraverso uno qualunque dei mezzi di comunicazione a nostra disposizione, sia autentica oppure sia quella che comunemente viene chiamata bufala è fondamentale. La nascita e la diffusione di Internet e soprattutto dei social media ha ampliato a dismisura la platea del potenziale pubblico ma anche dei potenziali diffusori di informazioni.

Ed è proprio sulle possibilità pressoché illimitate che derivano dai social media che fanno molto spesso affidamento singoli e organizzazioni che, per puro diletto o seguendo un piano preciso voluto da altri, diffondono fake news. Notizie false, orchestrate in un modo da sembrare autentiche e che nella maggior parte dei casi vanno a toccare nervi scoperti per muovere in un senso o nell’altro l’opinione pubblica. Queste sono le fake news. Un grado sopra la semplice bugia.

Riconoscere una fake news, come dicevamo, è fondamentale come cittadini. In Finlandia la lotta alle bufale è iniziata da tempo. Il Paese, che si è reso indipendente dalla Russia nel dicembre del 1917, ha cominciato nel secondo dopo guerra a portare l’educazione ai media nelle scuole.

Perché è proprio dalle scuole che occorre partire. I ragazzi che oggi navigano, spesso senza sapere come, su Internet e consumano quantità spropositate di contenuti su tutti i social sono i cittadini di domani e devono essere messi nelle condizioni di capire subito se qualcuno gli sta mentendo per potere effettuare scelte politiche consapevoli e non dettate semplicemente dal sensazionalismo.

Il programma scolastico finlandese contro le fake news ha portato il Paese ad avere, e sono dati diffusi da Reuters, una fiducia nel giornalismo che è pari al 70%, esattamente il doppio della fiducia espressa nel nostro Paese.

In una interessante intervista riportata dal Guardian c’è un esempio di come nelle scuole si possa cominciare a instillare nei bambini l’idea non di non credere a nessuno ma neanche di credere a tutto ad occhi chiusi.

Lo spiega Kari Kivinen, preside in un istituto statale di Helsinki : “Le favole funzionano bene. Prendete per esempio quella della volpe che imbroglia tutti gli altri animali con le sue belle parole fasulle. Non è una brutta metafora per un certo tipo di politici, vero?” E l’istituto superiore di cui Kivinen è preside ha fatto della educazione all’informazione multipiattaforma e del pensiero critico componenti essenziali del curriculum scolastico.

Una dichiarazione altrettanto interessante che ci fa capire come inserire anche l’educazione all’informazione possa aiutare nel combattere la disinformazione viene da Laura Mäkelä, consulente del ministero per l’istruzione e la cultura finlandese, che sottolinea a Wired Italia come questi argomenti vengano trattati proprio dai primi anni di scuola: “Il curriculum nazionale di base per l’educazione e la cura della prima infanzia, l’istruzione preprimaria e l’istruzione di base comprende aree di competenza trasversali chiamate multialfabetizzazione e tecnologie dell’informazione e della comunicazione”.

Nel nostro Paese esiste ancora la credenza secondo cui i bambini piccoli non siano pronti per alcuni argomenti. Probabilmente, quello cui non sono pronti è il modo in cui gli argomenti vengono proposti perché, ed anche su questo dovremmo lavorare, chi dovrebbe proporli è a sua volta non pronto per mancanza di conoscenza.

Se vogliamo evitare che nel futuro prossimo le scelte personali, civiche e politiche dei cittadini e delle cittadine italiane possano in qualche modo essere influenzate semplicemente da un post su Facebook oppure da un messaggio vagante su WhatsApp dobbiamo entrare nell’ottica che occorre imparare ad utilizzare gli strumenti informatici e a smettere di pensare che siano cose difficili e destinate a un certo tipo di utenti. Siamo immersi nell’informazione, dobbiamo metterci nelle condizioni di riconoscere gli approdi sicuri e distinguerli dagli scogli delle sirene.

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