La flessibilità del mondo lavorativo è una falsa libertà: l’inchiesta parte dai riders

Esemplificativo del mondo lavorativo odierno è il caso dei riders, ben analizzato e descritto dalla giornalista Rosita Rijtano

riders flessibilità
Riders (Foto Unsplash)

Che il mondo del lavoro stia vivendo uno stato di difficoltà è risaputo. Ma non sono chiare a molti le motivazioni per cui la crisi coinvolge anche le persone con maggiori abilità, o come vengono chiamate nel contemporaneo, “skillate”. Senza diventare sede di digressioni, si può affermare che la flessibilità lavorativa, considerata un valore positivo dall’inizio degli anni Novanta, non è stata un gran regalo per i lavoratori. Pur non volendo semplificare troppo, è un dato reale che la precarietà lavorativa è aumentata, e le contrattualizzazioni sempre più differenziate.

La pletora dei contratti di lavoro rende difficilmente comprensibili i diritti di ogni lavoratore. E chi è deputato a farlo, dovrebbe tutelare le categorie “a rischio”. La giornalista Rosita Rijtano ha riportato in un libro intitolato “Insubordinati” le avventure e le difficoltà dei riders. Categoria lavorativa emersa relativamente da poco tempo, ed esplosa sul mercato. Coloro che trasportano cibo a domicilio e pacchi sono proliferati con la pandemia. Di norma sono l’ultima maglia di una catena che ha origine nelle multinazionali del delivery, in particolare del food delivery.

Tuttavia, nonostante possano essere considerati i moderni “schiavi” delle metropoli occidentali, i riders stanno iniziando a maturare una coscienza di classe e ad avere maggiore consapevolezza dei propri diritti.

Rosita Rijtano, intervistata da Altreconomia a proposito del suo libro, spiega le motivazioni della precarietà ai limiti estremi nel lavoro di rider: “Gli stranieri a volte non hanno idea di poter usufruire certe tutele ma soprattutto hanno paura di non avere alternative. Rispetto agli italiani credo che la parola “diritti” si sia svuotata di senso nel corso degli anni nel mondo del lavoro che le leggi degli ultimi cinquant’anni hanno precarizzato sempre di più. Fino al “colpo di grazia” del Jobs act che addirittura va a indebolire anche le tutele dei contratti a tempo indeterminato.

Un’altra ipotesi si nasconde dietro la parola flessibilità, che dà un’idea di poter guadagnare il più possibile impegnandosi al massimo. Ma come spiega la giornalista, è un falso mito, figlio di una propaganda delle multinazionali: Non è che sia così vera questa libertà, in concreto, perché comunque tu dipendi da un algoritmo che ti valuta costantemente e ti dà più o meno lavoro”.

E si passa rapidamente alla questione dell’algoritmo e della tutela dei dati dei lavoratori, questione che non coinvolge esclusivamente i riders, ma buona parte dei lavori monitorati. Anche il Garante per la privacy se ne è occupato. La giurisprudenza generalmente arriva troppo in ritardo rispetto alla prassi per poter rettificare davvero una consuetudine instaurata, consolidata e tristemente accettata. Non è questo il caso.

“Di fatto, prima che intervenisse il Garante per la protezione dei dati personali i rider non venivano adeguatamente informati sull’utilizzo dei dati. Sono stati fatti dei passi in avanti ma l’utilizzo resta scarsamente trasparente. Mi spiego: se Glovo apre dei ristoranti ad hoc in determinate zone della città adeguando il menù ai “gusti” di chi ha ordinato il cibo nelle settimane precedenti è chiaro che è un’enorme massa di dati da cui le aziende possono trarre valore. Lo sfruttamento dei dati personali quindi non coinvolge solo la sfera dei lavoratori, ma anche dei clienti.

L’Europa rispetto agli Stati Uniti è più attenta alla questione, ma ancora vittima dello strapotere delle lobbies. Addirittura la Cina, Paese non certo noto per questo genere di gestione, è intervenuta cercando di arginare l’emorragia di dati che proveniva da questo genere di lavoro. Ed i riders ne sono inconsapevoli complici: “Nel caso dei lavoratori si tratta, tra l’altro, di un doppio sfruttamento: il lavoratore non porta solo un contributo di lavoro fisico e intellettuale ma anche inconsapevolmente un valore informativo che viene dato attraverso la raccolta dei dati”.

In definitiva il libro della Rijtano è utile a comprendere un settore del commercio a molti sconosciuto, ma allo stesso tempo a chiarire, con l’esempio maggiormente lampante in circolazione, quali sono le conseguenze delle parole chiave del mercato del lavoro contemporaneo: flessibilità e raccolta dati. Ed a farne le spese non sono solo i singoli lavoratori, ma tutta la collettività.

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