Il pretesto della pandemia mette il bavaglio all’informazione indipendente: l’accusa di Amnesty International

Molti stati hanno adottato delle leggi speciali di censura alla libera informazione. L’emergenza sanitaria è una scusa sufficiente per minare uno dei pilastri della democrazia?

censura
(unsplash)

Uno dei problemi dell’informazione contemporanea è la scelta della fonte a cui affidarsi. La pletora di canali a disposizione tra carta stampata, televisione, radio ed Internet aumenta esponenzialmente se si prendono in considerazione i social media. E le voci riportate spesso non hanno un suono solo.

La possibilità di esprimere un’opinione, o di riportare un fatto con un accento differente dai canoni maggioritari è garanzia della libertà d’espressione, sugellata dalle costituzioni degli stati democratici.

Il tema della censura è tornato in auge con la pandemia. La disinformazione, ovvero l’informazione d’impatto a scopo manipolatorio, ha trovato terreno fertile nell’emotività collettiva che la paura del contagio ha sollevato. Successivamente, ma non troppo, sono partite le catene di Sant’Antonio cospirazioniste, dove il Covid era considerato “una pura invenzione a vantaggio di chi tiene i fili del destino del mondo”.

Non è difficile immaginare quanti danni possa aver fatto la disinformazione sulla pandemia. Allo stesso tempo la limitazione alla libertà d’espressione, che si traduce in un’informazione monocratica, è stata portata avanti da molti governi per dirigere appieno le operazioni di informazione e contrasto alla pandemia.

Amnesty International, in un comunicato del 19 ottobre, annuncia l’uscita di un nuovo rapporto pubblicato dall’associazione stessa, dal titolo “Tra bavaglio e disinformazione: libertà d’espressione in pericolo durante la pandemia da Covid-19”.

Al centro della polemica c’è il ruolo dell’informazione indipendente, che è stato sovente collocato al margine se non sanzionato. Rajat Khosla, direttore delle ricerche di Amnesty International, ha dichiarato: “Nel bel mezzo di una pandemia, giornalisti e operatori sanitari sono stati ridotti al silenzio e imprigionati. Circa cinque milioni di persone hanno peso la vita a causa del Covid-19 e la mancanza di informazioni può avervi contribuito”.

La responsabilità dei governi nella gestione dell’emergenza è stata grande, e probabilmente in futuro sbucheranno dal “nulla” inchieste sulla malgestione delle operazioni di contenimento o sulle campagne vaccinali, ma per ora, soprattutto in alcune parti del mondo, si continua con un clima di censura nei confronti di chi tenta di mettere in discussione le risposte governative al Covid.

Nel dicembre 2019, in Cina, molti giornalisti sono stati presi di mira dal governo per aver diffuso le prime notizie su una “malattia sconosciuta”; in Tanzania, l’ex presidente aveva adottato una posizione negazionista per occultare la gestione errata dell’emergenza pandemica; in Nicaragua, nel 2020, è stata introdotta una legge che ha criminalizzato chi criticava le politiche istituzionali, conferendo al governo ampia facoltà di limitazione alla libera informazione; in Russia è stato inserito il reato di “diffusione di informazioni consapevolmente false” nel contesto dell’emergenza sanitaria; la legge rimarrà in vigore anche dopo il cessato pericolo.

Il pretesto della pandemia è servito come alibi per mettere il bavaglio all’informazione libera; dove per informazione libera si intendono le inchieste motivate e supportate da casistiche reali, non le fake news complottiste diffuse per incrementare i click, o peggio, per creare movimenti eversivi che strumentalizzano il panico e l’ignoranza collettiva allo scopo di aumentare il potere a carico di pochi.

Amnesty International punta il dito anche sui social media, responsabili di aver amplificato notizie false e fuorvianti.

“Mentre chiediamo ai governi e alle aziende farmaceutiche di assicurare che i vaccini siano prodotti e distribuiti a tutte e a tutti nel mondo, ci rivolgiamo anche agli stati e alle proprietà delle piattaforme social affinché garantiscano libero accesso a informazioni accurate, basate su prove e tempestive, in modo tale da minimizzare l’impatto della disinformazione sulle campagne vaccinali.

Il modello d’informazione social, principalmente basato sui profitti, deve intervenire per prevenire la disinformazione che, conquistato il flusso della diffusione incontrollata, diventa difficile da contenere.

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In sostanza, governi e Big Tech hanno avuto un ruolo di primo piano nella conduzione delle informazioni sulla pandemia. Si rischia di oltrepassare un confine che, se valicato, difficilmente sarà possibile far retrocedere.

Le responsabilità si vedranno in futuro, ma è pericolosamente in corso una censura all’informazione indipendente che, se formalizzata con il pretesto del contenimento dell’emergenza sanitaria, potrebbe minare uno dei presupposti essenziali della democrazia.

A questo link il comunicato di Amnesty International

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