“La libertà di aiutare chi è disperato”, i cittadini di Oulx contro lo sgombero del presidio migranti

“Noi ci dissociamo perché la libertà è poter guardare negli occhi un bambino terrorizzato e consolarlo,offrire aiuto a chi è disperato, dargli un’altra possibilità di credere che c’è un modo, c’è sempre un modo”. 

Una lettera firmata da 174 cittadini di un piccolo comune in provincia di Torino che arriva al termine di una storia iniziata nel 2018. 

La casa cantoniera di Oulx, di proprietà dell’Anas, è stata per molti anni un edificio abbandonato. Nel 2018, un gruppo di persone, per lo più composte da attivisti politici di stampo anarchico, ha deciso di occuparlo e trasformarlo in un rifugio autogestito dedicato all’accoglienza dei migranti e di tutte le persone in difficoltà.  Lo hanno chiamato “Chez Oulx” in ricordo di un precedente edificio, che si trovava al confine con la Francia, adibito allo stesso scopo ma sgomberato nell’ottobre del 2018.

Gli occupanti tra di loro si chiamano “i solidali”.

D’altronde, la decisione di prendere illegalmente possesso questi immobili e farli diventare dei veri e propri presidi, nasce come protesta contro le politiche (italiane e francesi, giusto sottolinearlo) sull’immigrazione. In pochi mesi “Chez JesOulx” è diventato un presidio attivo 24 ore su 24 per accogliere tutti i migranti in difficoltà nel loro disperato viaggio per oltrepassare il confine della Valsusa.

I giudizi sull’operato dei solidali sono inevitabilmente ambigui: se dal canto suo la polizia e i vertici politici del luogo hanno sempre fatto di tutto per arrivare allo sgombero di questo rifugio, dall’altro, una parte della popolazione del luogo ( parliamo di un comune che conta circa 3mila abitanti) ne ha invece sempre riconosciuto sempre gli intenti spiccatamente umanitari. 

Ma alla fine, dopo due anni, lo sgombero più volte preannunciato è arrivato.  

La polizia infatti, nella mattina del 23 Marzo, ha circondato l’edificio in rigorosa tenuta anti sommossa per poi fare irruzione. Al suo interno c’erano in quel momento circa quaranta persone tra uomini, donne e bambini. Non è stato naturalmente un evento inatteso. Ormai da alcuni mesi infatti i solidali, consci delle intenzioni dello Stato sul destino di questo rifugio, avevano lanciato una petizione on line chiedendo che il loro presidio non fosse toccato. 

Le reazioni però, all’indomani dello sgombero, non sono forse state quelle che le forze dell’ordine si aspettavano.

La comunicazione ai residenti su quanto avvenuto da parte delle forze dell’ordine è stata celere e concisa: l’ordine è ritornato in città e la legalità ripristinata. Se non fosse che alcuni cittadini di Oulx, preso atto di questa comunicazione, hanno deciso di dissociarsi pubblicamente, con un documento firmato da 174 di loro, per un gesto che non ritengono giusto.

Certo, parliamo di nemmeno un decimo della popolazione complessiva, e sarebbe dunque esagerato affermare che è stato un intero paese a non approvare questa decisione. Si tratta però di una lettera che lascia chiaramente intendere come la questione sia tutt’altro che conclusa, e come una piccola parte della popolazione non accetta in alcun modo quanto accaduto negli ultimi giorni. 

I firmatari chiariscono che questo sgombero fa parte di un “modo di vedere, di pensare, di agire” che disapprovano fortemente.  Anche perché, con questa scelta, lo Stato si è preso la responsabilità di privare di un tetto sopra la testa a persone “disagiate, malate e soprattutto spaventate. Bambini che porteranno negli occhi e nel cuore il trauma più importante della loro vita”. La decisione di sgomberare “Chez JesOulx” diventa inevitabilmente a loro giudizio “la soluzione facile di un problema, senza una proposta alternativa”. 

Non manca inoltre una dura critica alla falsa pietà di chi in paese esprime solidarietà soltanto a parole per le persone che si trovavano all’interno della casa cantoniera. L’ipocrisia tipica, secondo i firmatari, di chi a parole dice di voler aiutare persone evidentemente meno fortunate di noi, purché queste rimangano “lontano dalla propria casa,dal proprio paese, purché non sia un “personaggio” che gironzola nelle proprie strade. Siamo stufi di una società presbite che vede bene le cose lontane e non sa distinguere ciò che è proprio lì, davanti agli occhi”.

All’appello si è unita anche qualche giorno fa l’associazione Medici per i Diritti Umani, che, con un comunicato pubblicato sul proprio sito istituzionale, ha spiegato come lo sgombero avrà tante conseguenze negative, molte di più di quelle che si può supporre in un primo momento. Anche perchè, con la chiusura di “Chex JeOulx” resta aperto in via straordinaria soltanto il centro Fraternità Massi-Talita-Kum che però a queste condizioni, si trova già in una situazione critica disponendo anche di una capienza ridotta rispetto al numero che a causa di questo sgombero, si ritrova già a ospitare. 

Si tratta oltretutto di un rifugio quest’ultimo, che sta riuscendo a funzionare esclusivamente grazie “ai tanti volontari e solidali che con generosità offrono il proprio tempo e la propria disponibilità. E’ facile prevedere come lo sgombero, insieme con il restringimento dei luoghi di accoglienza sui due lati del confine e l’aumento dei controlli alla frontiera ultimamente registrati, si ripercuoteranno inevitabilmente sulle persone più vulnerabili senza apportare nessuna soluzione alla crisi umanitaria dei migranti”. 

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Medu chiede dunque allo Stato Italiano di farsi realmente carico di questo problema, predisponendo in primo luogo un nuovo presidio sanitario che permetta di allentare la pressione su Fraternità Massi-Talita-Kum, che nel frattempo può essere trasformato in un centro di accoglienza permanente.

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