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Diritti

Rapporto Save the Children, la maternità in Italia è ancora un lusso precario

Il nuovo rapporto pubblicato da Save the Children in occasione della scorsa festa della mamma ha un titolo che non lascia nulla all’interpretazione: “Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2022”

Madri e/o lavoratrici (foto Adobe)

Perché questa è la condizione delle donne che nel nostro Paese decidono di diventare madri. I numeri che infatti accompagnano la maternità dipingono uno scenario che lo stesso rapporto pubblicato sul blog ufficiale dell’associazione per i diritti umani, reputa critico. Per comprendere quale sia la profondità della crisi bastano due numeri. 42,6: è la percentuale delle donne divenute madri con un’età compresa tra 25 e 54 anni che non hanno un’occupazione. Il secondo numero è 1, il numero di contratti ogni 10 che sono stati stipulati con una donna e hanno carattere a tempo indeterminato nel corso dei primi sei mesi del 2021.

Perché è in dubbio come la pandemia abbia reso ancora più complicata la gestione della maternità e del lavoro da parte delle donne in un ambiente che potremmo definire ostile in partenza. Non bastano i luoghi comuni, non bastano le eventuali situazioni di molestie sul luogo di lavoro, non basta tutto il substrato culturale su cui poggiano instabili le gambe delle donne che vogliono (o devono) essere madri e lavoratrici. Nei due anni di pandemia a tutto questo si è aggiunto un altro fattore di destabilizzazione.

Il rapporto di Save the Children prende infatti in considerazione i due anni orribili che ci siamo appena lasciati alle spalle. Nel corso del 2020 abbiamo perso più di 30mila lavoratrici e queste 30mila lavoratrici, donne con figli, hanno deciso di rassegnare le dimissioni per alcuni motivi che ritornano purtroppo più e più volte: la famiglia o la mancanza di servizi di assistenza adeguati.

Nel rapporto di Save the Children c’è spazio anche per analizzare più nel dettaglio quello che è la situazione variegata nel nostro Paese. Se infatti al Nord il divario occupazionale tra uomini e donne è del 29,8%, nel Mezzogiorno si arriva a picchi di oltre il 60%. Con in più alcuni particolari fenomeni collaterali: il numero di padri che lavorano aumenta tendenzialmente con l’aumentare del numero dei figli minorenni mentre invece quello delle madri, a parità di aumento dei figli, diminuisce.

C’è il 61% delle madri che hanno un solo figlio minorenne che lavora e c’è l’88,6% di uomini che si trovano nella stessa condizione e lavorano. Se i figli diventano due o più e sono minorenni, le donne occupate scendono al 54,5% mentre gli uomini salgono al 89,1%.

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E, come accennavamo prima, la pandemia ha reso ancora più complicata a la situazione delle donne nel mondo del lavoro. L’espressione che meglio riassume questa situazione è “ingiustizia di genere”. La recessione dovuta al Covid-19 ha impattato talmente tanto sul mondo delle donne come lavoratrici e sul mondo delle madri come lavoratrici da essere definita una “shecession” se non una vera e propria “momcession”.

In definitiva, possiamo fare sui social, in tv e alla radio tutte le campagne per la parità di genere che vogliamo ma come ricorda anche Antonella Inverno, responsabile politiche per l’infanzia di Save the Children “servono misure efficaci, organiche e ben mirate che consentano di bilanciare le esigenze dell’essere madri e quelle dell’accesso e della permanenza nel mondo del lavoro“.

Pubblicato da
Valeria Poropat