L’Istat premia un’Italia ai margini: la ripresa c’è stata ma non è equa

Il Rapporto BES dell’Istituto parla di un’effettiva crescita, ma è più bassa rispetto ai livelli pre-Covid. Vediamo perché

L'Istat premia un'Italia ai margini: la ripresa c'è stata ma non è equa
Lockdown (Foto Christian Lue on Unspash)

Fuoriuscendo dall’annus horribilis imposto dagli esponenziali contagi del Covid-19, l’Italia ha dovuto (finalmente, si direbbe) sottoporsi a una riabilitazione concettuale verso un termine che rischiava di precipitare nell’oblio della dialettica della normalità: la ripresa. Ma cosa è stata effettivamente la ripresa? Oggi ci accorgiamo pian piano della reale consistenza che il significato ha assunto tra noi reduci di un’esperienza di massa storica.

Non c’è dubbio che l’epidemia virulenta, accompagnata dall’emergenza sanitaria, ha gradualmente saputo convivere con un ritmo più lento, alla stessa velocità della lava incandescente che scende dalle pendici del vulcanico inesorabile, distruggendo tutto ciò che incontra. Oggigiorno possiamo meglio calibrare la lente su una visione più lucida, sebbene non abbiamo ancora un distacco sensibile, ma vale la pena tentare di abbozzare una lettura inequivocabilmente obiettiva di ciò che comporta lo sforzo di rialzarsi.

Vediamo dunque cosa ha significato ripartire da zero (semmai sia il punto zero da cui ripartire). È il 2021 che può aiutarci a dare una risposta ai dubbi, anno della vertiginosa inversione dei termini della crisi sanitaria e di ricchezza del Paese. Come di consueto, la fotografia puntuale ci viene offerta dal Rapporto BES 2021 redatto come ogni anno dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT).

Il quadro che istantaneamente emerge è quello di un’Italia dove la crescita si è presa il suo spazio ma non è stata in grado, sino a questo momento, di cancellare le minacce sociali manifestatesi nelle cosiddette “aree di sofferenza”. E non parliamo soltanto di aree di sofferenza nuove, ma, in primo luogo, vecchie. Se le famiglie si sono progressivamente riappropriate di un reddito e di un potere di acquisto in rialzo, questi continuano a stagnare sotto i livelli precedenti la crisi.

Sul piano nazionale, le famiglie che vivono in povertà assoluta si mantengono in numero stabile; riducendo il focus, scopriamo che sono drammaticamente aumentate nel Mezzogiorno e soprattutto tra i giovani. L’epidemia da Covid ha centrato, in due anni, la formazione, l’occupazione (in particolare, quella femminile), e ha corroborato i già noti divari territoriali.

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Il rapporto sottolinea come siano i bambini, gli adolescenti e i giovanissimi, le prime vittime della crisi, a dover essere al centro delle politiche post-pandemiche. Su di essi gravano l’insoddisfazione e le patologie di salute mentale, le quali viaggiano a percentuale raddoppiate rispetto al 2019; l’aumento della sedentarietà e il calo generalizzato di un benessere soggettivo tali da indurre il presidente ISTAT Gian Carlo Blangiardo a parlare di “desertificazione degli affetti che ha eroso le basi della soddisfazione dei giovani”, già inclusa nel quadro del primato italiano in Europa per quanto riguarda il tasso di NEET, i giovani tra 15 e 29 anni che non lavorano, né studiano.

Toccando le emigrazioni all’estero dei giovani laureati italiani, i temi passano poi la salute, come è ovvio, con il fisiologico aumento della speranza di vita (dopo un anno), contrapposto all’avanzare delle rinunce a visite ed esami diagnostici. Sul piano del lavoro, si è registrato la più alta perdita di occupazione nei confronti della media europea; tuttavia, le donne, le più colpite dalla pandemia, hanno recuperato occupazionalmente prima degli uomini, nonostante restino ai margini dei luoghi decisionali e subiscano per intero il carico familiare.

Le conseguenze di un’istruzione ai tempi del lockdown e di corsi solo online hanno fatto crollare il livello qualitativo nei giovani. E infine la contraddizione dell’ambiente: migliora la qualità dell’aria, inficiata dal peggioramento dei cambiamenti climatici; aumenta l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e diminuisce la percentuale pro-capite dei rifiuti prodotti (ma si riduce anche la percentuale smaltita in discarica). In tutto ciò, rimaniamo in  attesa di politiche coraggiose (industriali e non) che sfruttino l’occasione di ripartenza da zero in linea modello europeo di economia sociale di mercato.

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