Bambini e junk food: le aziende sottoscrivono il CFBAI per la pubblicità ma bisogna fare di più

La limitazione alla sponsorizzazione di alimenti poco sani rivolta ai bambini è una buona notizia. Ma secondo gli esperti la stretta deve essere maggiore

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Junk food (Foto Unsplash)

La Children’s Food and Beverage Advertising Initiative (CFBAI) ha raggiunto tra le più importanti multinazionali statunitensi. Stiamo parlando di Coca-Cola, Mac Donald’s ed altri gruppi quali Danone e Ferrero. L’impegno preso è di limitare, o addirittura di ridurre completamente, il marketing sui cibi poco sani rivolto ai bambini di età inferiore ai 12 anni. Il problema del junk food, o meglio cibo spazzatura, è molto sentito negli Stati Uniti, dove una vasta porzione della popolazione ne fa uso.

E’ stato imputato dell’aumento dell’obesità infantile, problema senza precedenti in Italia, ma che invece ora si sta affacciando prepotentemente. Per determinare la discriminante su quali cibi possono essere pubblicizzati e quali no è fondamentale esaminare le componenti nutrizionali. Un report del Rudd Center for Food Policy & Health dell’Università del Connecticut arriva a risultati poco rassicuranti facendo il punto della situazione.

Sembra che molte aziende sottoscriventi il CFBAI non ne abbiano rispettato le limitazioni sulla pubblicità. Inoltre i limiti tra cibo sano e poco sano per i bambini andrebbe rivisto in favore di un’ulteriore stretta. Nessuna azienda ha integrato con pubblicità per bambini su prodotti quali frutta e verdura.

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Gli esperti del Rudd Center, nell’evidenziare le criticità della strategia CFBAI, ha messo in luce i punti di miglioramento. Secondo l’istituto le linee guida sui valori nutrizionali devono essere elaborate da team di esperti estranei alle aziende coinvolte.

Le bevande zuccherate o dolcificate artificialmente dovrebbero essere totalmente eliminate dalle pubblicità e sponsorizzazioni. Le limitazioni del marketing dovrebbero essere estese a tutte le forme di pubblicità, come è stato per alcol e tabacco, incluse sponsorizzazioni di eventi. Secondo il Rudd Center le limitazioni dovrebbero comprendere anche la platea adolescenziale, almeno fino ai 14 anni, ma in maniera più efficace fino ai 17 anni.

Il marketing volto a pubblicizzare prodotti poco sani per bambini non dovrebbe godere di alcuna agevolazione fiscale. E per finire, ogni Stato dovrebbe autonomamente implementare delle normative specifiche, e non lasciare la questione nelle mani delle iniziative aziendali. Queste richieste, se ottemperate, potrebbero avere la forza di modificare l’alimentazione infantile, che oggi sempre più include cibi poco sani. L’auspicio è che i vari Stati accolgano il monito in favore della salute, anche se a discapito delle multinazionali.

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