Rinnovabili, l’eolico resta un tabù italiano con il caso siciliano

Nonostante la crisi ambientale, le rinnovabili non decollano in Italia, dove trovano il muro delle amministrazioni. L’eolico ne è un esempio

Rinnovabili (foto: Pexels)

Davanti agli effetti dei cambiamenti climatici in atto, il governo italiano ha preso l’impegno di instradare la politica ambientale nazionale verso la decarbonizzazione del settore energetico, installando almeno 70 GW di potenza da fonti rinnovabili entro il 2030, anno degli obiettivi europei che prevedono una riduzione del 55% delle emissioni.

Eppure, le opportunità di innovazione e industrializzazione che possono derivare dall’apertura di filiere legate al settore delle rinnovabili, sembrano solo pura retorica quando queste si confrontano con le amministrazioni dei territori, impegnate a valutarne l’installazione degli impianti.

Se da un lato l’impegno internazionale è quello di mantenere la temperatura al di sotto del grado e mezzo, dall’altro bisogna comprendere che, con i suoi 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni, l’Italia rischia di raggiungere la potenza prefissata non prima del 2100.

A fare da sintomo di un problema innanzitutto “culturale” ci sono le tante storie di lentezza nel rilascio delle autorizzazioni; discrezionalità nelle procedure di Valutazione di impatto ambientale; blocchi da parte delle sovrintendenze; norme regionali disomogenee tra loro a cui si aggiungono contenziosi tra istituzioni.

Come riporta il report di Legambiente “Scacco Matto alle rinnovabili. Tutta la burocrazia che blocca lo sviluppo delle rinnovabili favorendo gas e finte soluzioni“, le confuse e contraddittorie regole e procedure si dimostrano complici della scarsa chiarezza che sfocia nelle opposizioni – in alcuni casi, pregiudiziose – dei territori, e divengono la causa di tempistiche controcorrente rispetto alla normativa: l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto eolico, ad esempio, prevede un tempo medio di 5 anni contro i 6 mesi previsti.

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Un esempio concreto di questa anomalia sistemica, ci arriva dalla cronaca della scorsa settimana: l’Assemblea regionale siciliana (ARS) ha dato il parere contrario rispetto alla realizzazione dei due progetti per la produzione di energie rinnovabili nelle acque a circa 45 chilometri da Favignana, Marettimo e Levanzo. Si tratta di un parco offshore di tipo floating, un impianto da 25 turbine; e un parco offshore galleggiante, costituito da 190 aerogeneratori e relative strutture di connessione alla rete di trasmissione nazionale.

Intanto, lo stesso decreto legge Energia guarda ai giacimenti già attivi nel mare a sud di Gela per aumentare la dotazione di gas nazionale quale soluzione atta a calmierare le bollette per le imprese energivore.

Legambiente individua inoltre fenomeni territoriali di forte contrasto nati da posizioni “di principio”, indipendenti dalla qualità del progetto, che si trasformano in fenomeni NIMBY (Not in My Back Yard, cioè “non nel mio giardino”) e/o NIMTO (Not in My Terms of Office, cioè “non durante il mio mandato”): essi stigmatizzano le fonti rinnovabili tra i privati cittadini, più o meno organizzati, e le amministrazioni locali o i rappresentanti istituzionali, dove il rischio di perdere consenso ostacola l’approvazione dei progetti.

Questo principio si riscontra anche nel caso dell’impianto eolico off-shore di Taranto, da quello di Rimini; come dalla proposta di legge in Veneto per arginare il fotovoltaico in aree agricole fino alle moratorie di Abruzzo, Lazio e Calabria.

In tempo di rincaro delle bollette, la soluzione non è da ricercare certo nella corsa al gas e al nucleare, ma solo puntando su fonti pulite, efficienza e autoproduzione; e farlo con un’urgente revisione delle linee guida. Infatti, tirando le somme, il report ne sottolinea la convenienza, che è anche una speranza, un auspicio: “Tutti questi ostacoli stanno mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi europei climatici che prevedono una riduzione del 55% delle emissioni, al 2030, rispetto ai livelli del 1990 e una copertura da rinnovabili del 72% per la parte elettrica”.

“Un obiettivo preciso per mantenere la temperatura al di sotto del grado e mezzo e che l’Italia con i suoi 0,8 GW di potenza media annua installata negli ultimi 7 anni rischia di veder raggiunti non prima del 2100. Eppure, sottolinea Legambiente, se anche solo il 50% delle rinnovabili oggi sulla carta arrivasse al termine dell’iter autorizzativo, la nostra Penisola avrebbe già raggiunto gli obiettivi climatici europei“.

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