Frutta e verdura, in Italia stop ai canoni estetici per i “brutti ma buoni”

Lo scorso 7 dicembre alla Camera 2 deputate hanno chiesto di introdurre la commercializzazione di vegetali non aderenti agli standard estetici previsti dalla normativa europea

imperfezioni frutta verdura
(unsplash)

Come direbbe un vecchio detto, “l’occhio vuole la sua parte”; ma per quanto riguarda il cibo, non sempre ciò che è bello corrisponde a gustoso e salutare. Un Regolamento UE 543/2011, poi modificato dal 1890/2021, impone dei rigidi standard estetici per i prodotti ortofrutticoli da inserire nel mercato. L’assenza di parassiti e l’integrità del prodotto sono due requisiti fondamentali, ma quando l’Unione europea regolamenta anche l’estetica di un prodotto, allora c’è qualcosa che sfugge alla comprensione.

Fino al 2008 la UE poteva escludere dal mercato anche, ad esempio, cetrioli con una curvatura oltre la “norma”. Che la “bellezza” di un prodotto alimentare corrisponda anche alla salubrità non è scritto da nessuna parte, ed anche i produttori stessi rinnegano questo standard. Ancora di più se si parla di alimenti biologici o biodinamici, che, seguendo il corso naturale del prodotto, ed essendo trattati il meno possibile, è normale che possiedano delle imperfezioni.

Fortunatamente, questo regolamento europeo lascia la possibilità di deroga agli Stati membri. Lo scorso 7 dicembre, come si apprende da un articolo del 24 dello stesso mese de “Il Fatto alimentare”, Susanna Cenni e Susanna Ciaburro, deputate della Camera, “hanno presentato una risoluzione che chiede al Governo d’impegnarsi su questo fronte permettendo, a partire dai prodotti biologici, che puntano soprattutto sulla modalità di coltivazione e la salvaguardia del territorio e meno sull’aspetto esteriore, la commercializzazione di vegetali non aderenti agli standard estetici previsti dalla normativa europea (relativi a dimensioni, imperfezioni sulla buccia o colore)”.

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Oltrepassare l’aspetto estetico nell’immissione di un prodotto sul mercato è essenziale innanzitutto per garantire una miglior salubrità del cibo, che se viene direttamente dalla terra, senza troppe interferenze, porterà con sé tutti i difetti estetici con cui è cresciuto. Inoltre è fondamentale per incrementare le politiche antispreco.

In una condizione economica come quella attuale, oltre ad essere antietico, gettare del cibo solo perché non è “bello”, è anche controproducente. Come si sa, più l’offerta di un prodotto è limitata e più il prezzo dell’alimento tende a crescere, facendo diventare ancora più selettivo l’approvvigionamento del cibo.

Un progetto di recupero del cibo “antiestetico”, avviato lo scorso anno da CosìperNatura, in collaborazione con NaturaSì e Legambiente, ha permesso di ridurre al solo 4% la quota di vegetali rimasti in campo.

Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì, ha così commentato il programma: “Abbiamo inaugurato quest’iniziativa soprattutto per offrire un prodotto biologico a prezzi ridotti (fino al 50% in meno di quelli abituali; ndr), per non sprecare alimenti sani la cui produzione ha richiesto energia e lavoro, ma anche per per offrire un vantaggio economico agli agricoltori che da questa situazione subiscono perdite importanti. Il nostro ecosistema, dalle 300 aziende agricole fino ai consumatori, ha reagito molto positivamente alla proposta”.

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