L’uso del riconoscimento facciale mina i diritti umani, l’allarme del Centro Hermes

Il riconoscimento facciale e le tecnologie biometriche possono porsi come rischio di violazione dei diritti umani. Questo è l’allarme lanciato dal Centro per la Trasparenza e Diritti Umani Digitali Hermes e rilanciato anche da osservatoriorepressione

Foto Cottonbro pexels

Il problema del riconoscimento facciale utilizzato nel nostro Paese è stato portato alla ribalta nel 2017 quando il Ministero dell’Interno ha acquistato il cosiddetto sistema Sari: Sistema Automatico Riconoscimento Immagini. Il Ministero ha acquistato due versioni di Sari, il cosiddetto Sari Enterprise e Sari Real Time.

E mentre per l’utilizzo di Sari Enterprise il Garante della privacy nel 2018 si è espresso favorevolmente, perché l’utilizzo di questo strumento di intelligenza artificiale non invade la privacy dei cittadini, per Sari Real Time invece il parere del Garante è stato negativo.

La differenza tra Sari Enterprise e Sari Real Time è che la versione Enterprise permette di inserire in un gigantesco database le immagini dei ricercati e confrontarle con un’immagine presa per esempio da un frammento di videosorveglianza.

Invece con Sari Real Time le forze di polizia potrebbero fare quello che vediamo spesso nei telefilm americani: controllare in tempo reale le videocamere di sorveglianza raccogliendo dati biometrici di tutti quelli che passano davanti alle telecamere e solo dopo utilizzare questi dati eventualmente per un confronto con i cosiddetti database AFIS.

E’ evidente, ed è qui che pone l’accento il centro Hermes, che un controllo in tempo reale dei dati biometrici dei cittadini inconsapevoli si pone come violazione dei loro diritti. Come già detto, il Garante ha stoppato Sari Real Time quindi perchè ce ne preoccupiamo? Perché a quanto pare il Ministero ha pubblicato un appalto per potenziare il sistema da utilizzare per un compito specifico: monitorare lo sbarco dei migranti e dei richiedenti asilo.

Si tratta quindi, questo dice l’associazione Hermes, di trattare tutti i migranti e tutti i richiedenti asilo come criminali schedandoli non solo chiedendo loro le generalità ma fotografandoli e misurandoli dal punto di vista biometrico.

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L’utilizzo dei dati biometrici tra l’altro, denuncia sempre Ermes, è già ampiamente utilizzato con il sistema Enterprise e con una evidente anomalia: “Secondo quanto previsto dal “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” (D.Lgs 286/1998), chi richiede il permesso di soggiorno o chi ne richiede il rinnovo è sottoposto a fotosegnalamento. Inoltre, vi rientrano anche le persone che chiedono protezione internazionale“.

Stando ai dati raccolti, potremmo quasi dire che stranamente tantissime persone che si trovano nel database AFIS sono proprio di origine straniera, in particolare algerina o di etnia Rom, nonché persone nate in Italia ma da genitori stranieri. E tante volte nei comunicati stampa non è indicato in modo chiaro come e per quali eventuali reati già commessi i soggetti coinvolti nel controllo biometrico con Sari fossero presenti nel database.

La denuncia dell’associazione che si occupa di diritti umani digitali è rivolta sia a tutta l’Europa, visto che è dall’Europa che provengono i fondi con cui il nostro Paese, insieme a Spagna e Grecia, dovrebbe controllare i flussi migratori in ingresso, sia proprio al nostro Paese.

Non c’è infatti nessuna valutazione pubblica della accuratezza dei dati biometrici che vengono raccolti né dell’efficacia reale degli algoritmi utilizzati per raccogliere questi dati biometrici. Ne viene che c’è il fondato pericolo che semplici esseri umani in fuga dalla morte vengano tranquillamente scambiati per criminali e trattati come tali. Rasentiamo l’evoluzione della fisiognomica, in buona sostanza.

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