Sicurezza sul lavoro: il dramma di Alessandra Pigliapochi

Sicurezza sul lavoro, Alessandra Pigliapochi ha raccontato la sua storia che purtroppo assomiglia a quelle di tanti altri

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Abbiamo un dato che ripetiamo da tempo, circa 3 morti al giorno sul lavoro. Da anni questa statistica tragica accompagna le cronache ogni qual volta un lavoratore perde la vita mentre svolge l’attività sulla quale si fonda la nostra Repubblica.

Oltre ai morti ci sono anche anche gli infortuni. Alcuni molto gravi possono segnare per sempre l’esistenza di una persona. Ma cosa dicono gli ultimi numeri? Nulla di buono. Nei primi nome mesi del 2022 secondo l’Inail le vittime sono 790 mentre le denunce superano di poco il mezzo milione (536.022), un aumento del 35,2% rispetto a una anno fa.

Quello delle costruzioni resta il settore dove ci sono più persone colpite, segue poi l’agricoltura e novità degli ultimi anni le infezioni da Covid.

Sicurezza sul lavoro, la storia dell’operaia

Alessandra Pigliapochi purtroppo è un classico esempio di infortunio che segna per tutta la vita. Anni fa, dopo il trasferimento da Roma a Terni, finalmente trova lavoro nella città umbra presso un’azienda a conduzione familiare.

Aveva 32 anni e il suo compito era lavorare a una pressa olio-dinamica a circuito idraulico che doveva dare forma a delle lamiere d’acciaio. Era lei che guidava il sistema e con una pulsantiera faceva calare o alzare la pressa.

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Ma un giorno qualcosa non funziona. C’è una perdita d’olio, non scatta il dispositivo di sicurezza che avrebbe dovuto fermare immediatamente la pressa e Alessandra resta schiacciata con entrambe le mani sotto un peso di oltre 200 chili.

Porta la sua storia in giro nelle scuole e sui luoghi di lavoro, un monito per far capire quanto certe tematiche non vadano prese sottogamba. L’ha fatto anche alla trasmissione Mi manda RaiTre e ospite con lei c’era anche Emidio Deandri, vice presidente nazionale dell’Amnl, Associazione Mutilati e Invalidi di Lavoro, anch’egli infortunato sul lavoro.

I ritardi delle legge

Viene spiegato che per infortuni del genere c’è una rendita prevista da una legge del 1965. Lo stesso Deandri riporta l’esempio della sua di rendita, circa 1.000 euro al mese e in alcuni casi sono previste delle spese per le cure. È chiaro dunque che c’è bisogno di un intervento del Parlamento per riscrivere una nuova norma, vecchia ormai di quasi sessant’anni.

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Ma se nel caso riportato in studio con la rendita – si chiama ufficialmente così – non va a formare il reddito, la stessa cosa non si può dire per chi la riceve a seguito della morte sul lavoro ad esempio del coniuge. Oltre al danno, anche la beffa.

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