In Italia la metà delle donne è vittima di disparità sul lavoro

Un sondaggio alza il velo sull’esperienza femminile nei luoghi lavoro; non soltanto discriminazioni tra le lavoratrici. I dettagli

In Italia la metà delle donne è vittima di disparità sul lavoro
Lavoratrici (Foto Gabrielle Henderson on Unsplash)

La Costituzione Italiana, con l’articolo 3, rimarca un diritto fondamentale destinato alla collettività, con effetto però sul piano individuale: che i cittadini godano degli stessi diritti, tralasciando ogni differenza “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. In un quadro di pari diritti, lo Stato ne guadagna che si abbiano pari doveri, ovverosia che, seppure proporzionalmente alla propria misura, tutti devono contribuire.

Di fronte alla crisi attuale, si potrebbe sostenere che quest’ultimo concetto evidenzia la garanzia che, eccetto i soggetti svantaggiati, ciascuno di noi è parte della ricchezza collettiva che produce. Ovviamente partendo da una condizione di equità. Ma a tutt’oggi ciò è carente laddove il rapporto di uguaglianza si esplica nelle sue fondamenta: la parità tra uomo e donna. Il sondaggio della Fondazione Libellula, reso pubblico un mese fa, ha scoperchiato il vaso di Pandora più rappresentativo in ambito femminile: il mondo del lavoro. 

Lo studio si chiama infatti “Vite ed esperienze delle donne nel mondo al lavoro”, con il quale si esamina la condizione delle donne nel vespaio per eccellenza della discriminazione, come il posto di lavoro. La percentuale ha raggiunto il 50% delle lavoratrici intervistate, dove dichiara di aver subito episodi di disparità e molestie. Le sfumature del disagio sono molteplici: si parte con esperienze “esplicite” di discriminazione, arrivando poi alla gestione del tempo e al carico di lavoro non retribuito.

Fino alla molestia vera e propria: il 53% delle donne intervistate ha ricevuto battute sessiste e volgari; il 22% ha subito, con ricorrenza, contatti fisici indesiderati; più “blandamente” – per modo di dire – il 46% delle donne non viene chiamata con il proprio titolo professionale e il 43% viene interrotta o ascoltata con meno attenzione di un collega uomo nel contesto di una riunione.

Sovente non c’è reazione da parte delle vittime e, anzi, subentra anticipatamente una forma di autolimitazione, atta ad evitare evitano parole, contesti o interlocutori che possano produrre disagio e imbarazzo. La disparità, inoltre, coinvolge il rapporto con il denaro e la percezione dell’equità di genere, manifestandosi nella questione tra carriera e famiglia. 

La genitorialità (e quindi la maternità) permane, sul luogo di lavoro, un fattore negativo, un freno alla carriera professionale della donna: il 65% denuncia di sentir parlare del ruolo di genitore come un effetto deleterio al proprio percorso professionale.

Al contempo però tutto il peso della responsabilità familiare ricade sulla donna; un peso che non viene ricompensato dal punto di vista dello stipendio, in considerazione della scarsa tendenza a non rinegoziare il salario per evitare di essere additata e giudicata, oltre che della sfiducia sul valore economico del proprio lavoro.

Sembrano dati che rispecchiano piuttosto fedelmente la situazione odierna, visto che su 146 Paesi (dati del Global gender gap report 2022), l’anno scorso l’Italia si posizionava al 63esimo posto in termini del divario di genere che colpisce la partecipazione economica e politica e il livello di istruzione e di salute.

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