La shrinkflation penalizza i consumatori con aumento indiretto dei prezzi

Il periodo di crisi che stiamo attraversando è caratterizzato anche da una inflazione che prende la forma di quella che gli esperti del World Economic Forum chiamano shrinkflation

shrinkflation
Shrinkflation (Foto Adobe)

Questo termine mette insieme shrink, un verbo inglese che significa ridurre o restringere, e inflation ovvero inflazione. Nella pratica si tratta di un modo in cui le aziende cercano di far fronte all’aumento dei costi di produzione riducendo in minima parte quella che è la quantità di prodotto in ciascuna confezione che viene commercializzata mantenendo però inalterato il prezzo.

A parlarne sul sito ufficiale del World Economic Forum sono tra gli altri alcuni esperti che si occupano proprio di questi fenomeni. Illuminanti sono per esempio le parole di Edgar Dworsky avvocato specializzato in diritto dei consumatori che sul sito Consumerworld si occupa tra le altre cose proprio delle tecniche con cui le società che producono beni e servizi cercano di affrontare l’inflazione.

Spiega Dworsky che esistono “tre opzioni di base due punti aumentare direttamente il prezzo, togliere un po’ del prodotto oppure riformulare il prodotto con ingredienti che costano meno”.

La prima opzione, ovvero quella dell’aumento diretto del prezzo potrebbe significare per le aziende che decidono di intraprendere questa strada un’ulteriore restringimento della loro forbice di guadagno. Nessuno infatti, soprattutto nei momenti di crisi e di inflazione, è disposto a pagare di più per avere lo stesso prodotto neanche se la società produttrice cerca di giustificarsi con l’aumento dei costi di produzione.

La terza via, ovvero quella della riformulazione del prodotto con ingredienti di minore qualità, rischia di funzionare solo nel breve periodo. Del resto i clienti sono abituati ad una certa consistenza, ad un certo colore, ad un certo sapore. Se cambiando la formula o la ricetta le qualità organolettiche del prodotto dovessero cambiare ci sarebbe di nuovo da affrontare un consumo minore. Ed ecco quindi che spesso viene adottata la seconda via ovvero la rimozione strategica di una minima parte di prodotto da ciascuna confezione in modo tale da non scontentare i clienti e riuscire comunque a far fronte alla crisi e ai costi di produzione.

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I prodotti che, anche prima della pandemia, si sono ritrovati un po’ ridotti sono diversi probabilmente anche sugli scaffali di casa nostra. La problematica diventa quindi non tanto il fatto che una società decida per mantenersi a galla di ridurre di un minimo la quantità di prodotto per ciascuna confezione ma se questo meccanismo che viene messo in atto viene comunicato chiaramente ai consumatori che possono così decidere che cosa fare.

Si potrebbero fare molti esempi ma, restando tra quelli citati nell’articolo pubblicato sul World Economic Forum abbiamo deciso di prendere quello che riguarda i Doritos, una popolarissima marca di patatine. Come riportato nell’articolo, la stessa società ha ammesso di aver tolto da ogni sacchetto un po’ di prodotto, “a little bit”, proprio a causa dell’inflazione che sta diventando problematica. La scelta di rimuovere qualche patatina dai sacchetti di Doritos, e si parla nell’ordine di 5-10 patatine al massimo, permette alla società di commercializzare il prodotto allo stesso prezzo.

In realtà però, con la rimozione di parte del prodotto, anche se questa rimozione è minima, in maniera impercettibile aumenta comunque il prezzo per i consumatori finali. Occorre quindi prestare attenzione quando si fa la spesa anche ai prezzi al kg e non soltanto a quelli riportati sugli scaffali e a controllare le indicazioni di contenuto presenti sulle confezioni. Perchè questa tecnica non è illegale ma deve mantenersi entro limiti precisi e comunque essere accompagnata da una informazione chiara.

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