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GREEN

I nurdle sono più pericolosi del petrolio per la salute del mare

Quando la porta container X-Press Pearl ha preso fuoco e si è inabissata al largo dell’Oceano Indiano tutti ci siamo preoccupati dello sversamento di petrolio ma il vero pericolo per quel tratto di mare e per tutti viene dai nurdle

foto Soren Funk Unspalsh

Dietro questo termine inglese si nasconde qualcosa che viaggia per mare quotidianamente e che, con incidenti come quello della Pearl, può distruggere interi ecosistemi.

I nurdle sono infatti i pellet di plastica che poi vengono portati a temperatura e fusi per creare gli oggetti che utilizziamo quotidianamente. La plastica viene prodotta e poi fatta solidificare in queste comode monoporzioni grandi come una lenticchia. Quando poi arrivano a destinazione viene nuovamente riscaldata e poi lavorata per trasformarsi in bottiglie, telefonini, vestiti, qualunque cosa vi venga in mente.

E adesso se ne sono riversati in mare 1680 tonnellate. Stando al report diffuso dalle Nazioni Unite e ripreso dal Guardian, si tratta della più grande fuoriuscita di plastica nella storia. E a farne le spese sono in primis le popolazioni che affacciano sull’Oceano Indiano. Ma non dobbiamo pensare che una fuoriuscita di questi pellet di plastica nell’Oceano Indiano non abbia conseguenze per l’intero globo.

I pellet vengono infatti ingeriti dagli uccelli marini e dai pesci che li scambiano per cibo. Questi animali muoiono a causa della plastica e vanno ad intaccare anche quelle che sono le economie costiere. Ma se non bastasse il pericolo ambientale derivato dall’ingestione dei nurdle da parte dei pesci e degli animali, queste particelle sono tossiche perchè in grado di assorbire sostanze velenose e ospitare batteri in grande quantità.

Siamo quindi di fronte ad una vera e propria bomba ecologica come spiega Tom Gammage, del gruppo internazionale Environmental Investigation Agency, “i pellet di per sé sono una mistura di prodotti chimici, sono a base di combustibili fossili. Ma funzionano anche come spugne tossiche. Molte sostanze chimiche tossiche (che nel caso dello Sri Lanka si trovano già disciolte in acqua) sono idrofobiche e quindi si raccolgono sulla superficie di queste microplastiche”.

“Gli inquinanti possono trovarsi milioni di volte più concentrati sulla superficie dei pellet piuttosto che nell’acqua e sappiamo da studi di laboratorio che quando un pesce ingerisce un pellet alcune di queste sostanze inquinanti vengono rilasciate”.

Il disastro della X-Press Pearl non è quindi soltanto quello delle 350 tonnellate di greggio che si è sparso in mare ma forse soprattutto quello dei nurdle che si aggiungono alle già scandalose quantità di microplastiche che viaggiano sopra e sotto la superficie dell’acqua. Nel caso specifico dello Sri Lanka comunità intere di pescatori hanno dovuto smettere di pescare perché qualunque cosa tiravano su era pieno di questi pellet di plastica, morto o morente.

Hemantha Withanage, director del Centre for Environmental Justice dello Sri Lanka, affronta la questione: “l’affondamento della X-Press Pearl, e la fuoriuscita di prodotti chimici e pellet di plastica nel mare dello Sri Lanka, ha causato danni incalcolabili alla vita Marina e distrutto le fonti di sostentamento delle popolazioni locali“.

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Ma questo genere di disastri fanno notare sempre gli attivisti devono e possono essere fermati. Secondo Tanya Cox, specialista in plastica marina di Flora & Fauna International occorrerebbe classificare il pellet di plastica tra i materiali pericolosi come si fa con gli esplosivi, i liquidi infiammabili e le altre sostanze pericolose per l’ambiente: “devono essere immagazzinati sottocoperta, con confezioni più robuste che abbiano etichette chiare. Dovrebbero anche essere oggetto di protocolli di risposta ai disastri che, se messi in campo nel caso di un’emergenza, possono prevenire gli impatti ambientali peggiori”.

E purtroppo, mentre i pescatori dello Sri Lanka raccontano di non potersi neanche immergere perché i pellet entrano nel corpo dal naso e dalle orecchie, chi dovrebbe decidere, ovvero la International maritime Organization, risulta particolarmente sorda all’idea di ritenere il pellet come materiale pericoloso e l’inquinamento da plastica derivato dalle navi come un problema.

Pubblicato da
Valeria Poropat