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Tecnologia

Se l’intelligenza artificiale ruba il lavoro (degli attori)

Quando nelle catene di montaggio arrivarono i primi robot tutti si preoccuparono della possibile perdita dei posti di lavoro. Ora che ci troviamo ad avere l’intelligenza artificiale c’è chi si preoccupa che un utilizzo smodato di questi strumenti informatici possa mettere in crisi tutta una categoria: quella dei performer

Se l’Ia ruba il lavoro (agli attori) (foto Unsplash)

A lanciare l’allarme è Equity, un sindacato che raccoglie oltre 45mila tra performer e creativi inglesi. Rappresenta quindi attori, ma anche cantanti, ballerini, registi, designer, comici, doppiatori e performer di varietà oltre ad altre tipologie di performer. Sul sito ufficiale del sindacato è stato di recente pubblicato un focus che riguarda proprio l’utilizzo dell’intelligenza artificiale e delle possibili conseguenze sul mondo del lavoro per questo genere di professioni.

In particolare quello contro cui Equity si scaglia è il fatto che la legge che protegge il diritto d’autore in Inghilterra non tiene in considerazione ciò che può succedere quando un performer incontra una IA.

Emblematico è il caso di Bev Standing, una doppiatrice canadese di cui viene riportata una dichiarazione: “Nel 2018 sono stata chiamata per un lavoro di text-to-speech per una app di traduzioni. Ma nel 2020 quelle registrazioni sono state utilizzate per la prima voce text-to-speech inglese su Tik Tok, che non era mio cliente. La paura di mettermi contro una compagnia multimiliardaria mi ha sopraffatta in parte ma dovevo far valere i miei diritti quindi ho presentato denuncia contro Tik Tok e l’anno scorso siamo aggiunti ad un accordo”.

Con l’intelligenza artificiale opportunamente allenata è infatti possibile creare quasi qualunque cosa compreso un attore o un cantante pressoché indistinguibili dalla realtà. Ma se l’allenamento dell’intelligenza artificiale può e ha portato miglioramenti per esempio nell’assistere i portatori di handicap visivo o auditivo c’è tutto un lato oscuro che riguarda lo sfruttamento cui i performer artistici possono andare incontro proprio perché c’è un buco nella legislazione.

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E questo buco è quello che Equity chiede di chiudere con una legislazione che protegga effettivamente i performer. Dal focus sul sito ufficiale dell’organizzazione sindacale si legge che per esempio il 79% dei performer che hanno lavorato, potremmo dire, in collaborazione con l’intelligenza artificiale hanno dichiarato di non avere avuto chiarimenti reali riguardo i propri diritti prima di firmare il contratto.

A questi stessi performer viene poi chiesto di firmare un accordo di non divulgazione ma non gli viene spiegato quale sarà poi lo scopo ultimo del lavoro che faranno. A queste percentuali fanno eco poi altri numeri: il 65% dei performer pensa infatti che lo sviluppo delle tecnologie di intelligenza artificiale sia una vera e propria minaccia al settore delle arti. Un numero altissimo che diventa ancora più alto se a parlare sono gli esperti del settore audio, un settore in cui ben il 93% ha paura dell’intelligenza artificiale.

Ovviamente Equity non chiede lo stop all’utilizzo dell’intelligenza artificiale dato che nel comunicato stesso si riconosce che “l’intelligenza artificiale potrebbe avere un impatto grandemente positivo sull’industria dell’intrattenimento”, quello che viene chiesto è che ci sia una regolamentazione che eviti le situazioni di sfruttamento in cui le alte sfere delle società si arricchiscono a discapito del lavoro creativo.

Pubblicato da
Valeria Poropat